Il calcio è poesia - Il mio nome è nessuno

23-02-2016 12:14 -


Eusebio di Bronzo

- Scrisse di lui Eduardo Galeano che “ era nato solo per lustrare scarpe, vendere noccioline e borseggiare la gente distratta”. Per questo il suo correre continuo era giustificato. Scrissero ancora che in campo scappava dalla vita più che dai terzini, fuggendo solo come chi fugge dalla Polizia o dalla miseria che ti morde i talloni. Oggi, all’esterno dello Stadio da Luz, è lì, di bronzo, intento a calciare un pallone con il destro. Gli occhi raffigurati dall’artista, chissà perché, sono tristi come lo erano dal vero per Da Silva Ferreira Eusebio. Quello che nell’infanzia, in Mozambico, quando giocava tra i ragazzini, tutti chiamavano Ninguen, nessuno. E che arrivava al campo di allenamento del Benfica, chiamando signore tutti i suoi compagni di squadra, anche dopo che aveva vinto una coppa del campioni. Eusebio resta l’immagine povera e reale del calcio, che nasce sempre dalla polvere della strada, si trasferisce alzandosi come una nuvola sui campi da gioco, e poi va verso l’aria, spinta dal volere del destino beffardo, indirizzandosi verso il Paradiso. Un uomo, Eusebio, incapace a volte perfino di comprendere quello che gli dicevano gli avversari. Prima di andare sul dischetto del rigore per battere verso Josè Araquistain, leggenda del Real, venne apostrofato ad arte da Santamaria, un gigante che spaventò anche Sandro Mazzola un giorno. Uno dei più forti centrali che il calcio mondiale abbia mai regalato, ma anche uno dei più decisi, aveva imparato a Montevideo cosa significava giocare e picchiare, rendendoli una sola cosa. Con Eusebio che si avvicinava verso il punto della battuta, Santamaria gli andò vicino e gli disse a ripetizione “negrito, cabron, maricon”. Eusebio, che veniva dall’Africa di Laurenco Marques, non capiva bene, specie l’ultimo aggettivo, ed incredibilmente prima di battere andò verso il suo capitano Coruna a chiedere cosa significasse. Coruna, un altro filibustiere del calcio, rispose:” te lo dico se segni”. Eusebio sistemò allora la sfera a terra, colpì secco mandando palla da una parte e portiere dall’altra per scoprire che poco prima gli avevano semplicemente dato dell’omosessuale. E’ solo un esempio di quanto semplice fosse il calcio di quell’uomo, di un gigante, della pantera nera, che si è accompagnata verso la fine nel silenzio rispettoso del mondo del pallone. La statua che all’esterno dello stadio di Lisbona lo ritrae, viene ogni giorno omaggiata ed è piena di sciarpe di club di tutto il mondo.

ARMANDO NAPOLETANO

Fonte: UNVS La Spezia www.unvsliguria.it