ESSERE O APPARIRE

28-04-2020 10:31 -


“Essere o apparire” non è una parafrasi o una trasposizione del dubbio amletico, ma uno stile di vita, una maniera di interpretarla, che produce risultati assai diversi sul piano della esistenza
.

Ci occupiamo della valenza di questo interrogativo, nel settore della vita che più ci interessa: ovvero il settore sportivo.

Vi sono atleti che interpretano il proprio sport (e naturalmente anche tutta la loro vita, perché, come vedremo, non si possono scindere i due settori dal punto di vista funzionale ed etico), alla ricerca spasmodica di gratificazioni personali, mentre, altri sono interessati a quello che ”avvertono di essere”, relegando in secondo piano le manie di una eccessiva esposizione mediatica.

L’atleta che avverte la necessità di un eccessivo protagonismo (protagonismo che non va demonizzato, perché ne esiste anche uno ”buono”), e che pensa di arricchire la sua carriera e il suo palmares, costi quel che costi, appare piuttosto una persona insicura, che relega, in un certo senso, i risultati in seconda linea.

Per prima cosa fa un torto a sé, perché minimizza il ruolo dei compagni e degli stessi avversari, intento come è a fornire una immagine sovraesposta di sé stesso. È attratto ed affascinato dalla mania di eccessivo protagonismo.

Un simile atleta, definito anche come ”atleta dell’apparenza”, non ha grande considerazione dei suoi compagni, che insieme a lui, si sono sacrificati, hanno lottato e magari hanno fallito. Egli dimostra una scarsa fiducia in sé stesso e soprattutto un deficit di rispetto verso la sua persona ed il suo ruolo.

Al contrario, invece, l’atleta che bada in maniera più equilibrata alla sostanza dei risultati, ha, comunque, una maggiore consapevolezza del valore altrui, sia come sportivi sia come uomini.

Ne comprende lo spirito di sacrificio e si compiace del loro impegno. Non li sbeffeggia, né li umilia anche solo con il suo comportamento, sempre attento al sentire e alla sofferenza degli altri. E i suoi avversari, improvvisamente, diventano anche suoi amici.

Se scaviamo attentamente nell'animo di entrambi i soggetti, si scopre che l’atleta avvezzo a stare attento alla apparenza più che alla sostanza, ha una minore stima di se stesso, in quanto cerca riferimenti esterni che ne possano gratificare il carattere e la personalità, al di là dei risultati ottenuti. È meno ricco di emozioni. Non sa controllare la propria emotività, segreto per ottenere grandi risultati.

L’atleta equilibrato, rispettoso del lavoro e soprattutto dello spirito di sacrificio degli avversari, non intravede in essi dei nemici da ”abbattere”, ma ne accetta serenamente il confronto. Impara cose nuove e tende a utilizzarle per migliorarsi. Vede negli avversari persone con cui gareggiare, qualunque sia il risultato conseguito. L’esito di questo comportamento va oltre il valore importantissimo della competizione, per sfociare incredibilmente in un rapporto di sincera e duratura amicizia, come prima esposto.

L’atleta “essere”, se così possiamo definirlo, non ha bisogno di gratificazione esterne per comprendere la propria grandezza. Trova dentro di sé le motivazioni che lo spingono a dare il meglio di sé stesso. Egli, prima di essere un campione nello sport, è un campione nella vita.

Ecco perché appare come un fulgido esempio per tutti i giovani. È perfettamente in grado di trasmettere a tutti, sportivi e non sportivi, non con le parole, ma con gli esempi, l’essenza del suo ”essere”.



Nicola Pecere.
Associato UNVS Sezione Bassa Romagna
Mental coach sportivo



Fonte: Addetto stampa Sezione UNVS Bassa Romagna www.unvsromagna.it