ATLETI E SPORT

01-05-2020 16:37 -


Quando si parla di attività sportiva, quasi sempre il focus del contendere sono la parte agonistica e le tattiche di gioco. Le società sportive si impegnano in attività amministrative e di organizzazione logistica. Pertanto, il loro ruolo è piuttosto ben definito.

Ma volendo escludere per un momento il ruolo agonistico degli atleti, quale apporto essi possono fornire nei confronti della attività sportiva, che vada oltre la prestazione fisica?

Una domanda di questo tipo ci spinge ineluttabilmente a considerare il ruolo etico che essi devono svolgere, ruolo etico che è la parte viva, il cuore pulsante di ogni attività.

In questo periodo di globalizzazione dell’economia e dell’informazione, gli addetti ai lavori stanno particolarmente attenti a non “pensare” fuori dalle righe, sguazzando in un conformismo becero, che prevede la omogeneizzazione di ogni idea e di ogni comportamento.

Gli atleti hanno smarrito il senso Etico della Vita e dello Sport.

Una società, di qualsiasi estrazione e tipo essa sia, prevede un codice-guida di comportamento, che costituisca il nerbo di ogni attività.

Quando parliamo di nuovo spirito sportivo, intendiamo riaffermare il ruolo della lealtà in ogni ambito del comportamento umano. La omologazione diffusa è la nuova essenza, la nuova religione delle attività agonistiche, il cui “dio” imperante è il denaro.

Non abbiamo nulla contro il denaro. Non lo consideriamo lo “sterco del diavolo”. Esso è necessario per condurre una vita dignitosa, ma ergerlo al di sopra di ogni passione, comportamento o relazione, è sintomatico di una società malata.

Lealtà significa possedere la capacità di rispettare per prima cosa gli altri e poi, di rimando, se stessi…

Lealtà significa riconoscere lo sforzo atletico altrui come un aspetto metaforico della vita, dove la dedizione, la caparbietà e il rispetto dell’avversario sono il cuore di ogni attività degna di questo nome. Spesso, quello che pubblicano i giornali consiste nel magnificare i guadagni milionari di alcuni atleti, escludendo il senso e il significato dell’Etica.

Si discute se un fallo di mano sia regolare o meno, ma nessuno valuta l’importanza morale del gesto. Quello che conta è il risultato e soltanto il risultato. Gli atleti leali (se ancora ce ne fossero), non vengono celebrati, non costituiscono un esempio per i giovani. Anzi, vengono considerati con compassione, come se il loro incredibile gesto fosse qualcosa di deprecabile, da evitare, assolutamente.
A questi gesti strepitosi viene messa la sordina, per conformarsi al piattume etico, generalizzato. Mai che si intraveda un rigurgito di orgoglio nel riconoscere anomala, in modo da essere bandita, ogni azione che contravvenga allo spirito di lealtà sportiva.

E qui viene anche logico richiamare il ruolo delle società, che per prime devono educare gli atleti ad assumere determinanti comportamenti.
Il ruolo dei dirigenti, delle famiglie, che portano sulle spalle tutto il peso della responsabilità morale dei comportamenti degli atleti.

Educare non è sufficiente. Sono gli esempi virtuosi a costituire per le giovani generazioni delle linee guida, che hanno il grande senso di creare una società in cui i rapporti umani siano trasparenti, fluidi, che non lascino indietro nessuno.
Tutti gli atleti vanno celebrati, se non altro per lo spirito di sacrificio, per la fatica fisica comune che compiono e per il senso di dedizione che applicano nel praticare l’attività sportiva.

Capisco benissimo che tutto ciò possa essere considerato una utopia. Non bisogna però scordare, che è esistito un periodo della nostra esistenza in cui il valore della lealtà aveva un senso ed un significato validamente riconosciuto.

E non sto parlando di secoli orsono. Basta guardarsi indietro di pochi anni, per cogliere tutto il significato di queste affermazioni. Cedere alla retorica è impresa assi semplice quando si parla di certi argomenti.

Ma che volete fare: per i miei anni appartengo al quel passato recente, e forse, come sostiene un mio caro amico, i vecchi danno buoni consigli perché non sono più capaci di dare cattivi esempi.




Nicola Pecere, mental coach sportivo
associato UNVS Sezione Bassa Romagna



Fonte: Addetto stampa Sezione UNVS Bassa Romagna www.unvsromagna.it