Erica Barbieri lascia il judo: "Torno a casa"

21-01-2014 15:59 -

La forte judoka spezzina Erica Barbieri, è stata più volte premiata dalla Sezione UNVS della Spezia "O. Lorenzelli- F. Zolezzi", per i suoi grandi risultati ottenuti nello Sport.
Ultimamente a Cadimare, La Spezia, Dicembre 2013, durante la Festa del Veterano, ha ricevuto il premio "Amore per lo Sport". Nell´anno 2006 è stata premiata come "Atleta dell´Anno"; in precedenza aveva ricevuto il premio "Scuola - Sport"

Complimenti e Auguri, Erica!! (Francesca Bassi, Presidente UNVS La Spezia)



"Dopo le Olimpiadi di Londra ho capito che non ne avevo più". La judoka spezzina si ritira a 32 anni dopo aver vinto tanto in Italia e nel mondo: "Mi aspetta la stazione dei Carabinieri di Levanto".
"Io sono arrivata alle Olimpiadi felicissima, ma stanca sia nel corpo, 32 anni si fanno sentire, che di testa. E di quella ce ne vuole davvero tanta". Una nuova vita aspetta Erica Barbieri, la judoka spezzina reduce dalle Olimpiadi di Londra che ha annunciato in queste settimane il suo ritiro dallo sport agonistico. Cinque ori agli Italiani assoluti, due agli juniores, uno agli Europei (a Vienna nel 2010), uno ai Mondiali militari e poi un fiume di argenti, bronzi e piazzamenti impossibili da elencare tutti.
Dal tatami della palestra della Polisportiva Fornola con il maestro Lamberto Lambertucci - in cui entra la prima volta nel 1990 a nove anni perché "non mi andava di aspettare senza far niente mia mamma che iniziava il corso di ginnastica quando io finivo quello di pallavolo" - a mietere medaglie tra Olanda, Indonesia, Tunisia, Corea e Turchia.

Cosa ti ha spinto a dire addio all´agonismo?
"Amo tanto il mio sport ed ho vissuto con pienezza e gioia le esperienze che mi ha portato a fare. Ma la vita dell´atleta è anche molto faticosa, soprattutto quando si affrontano le qualificazioni olimpiche che, per la nostra disciplina, prevedono tantissime gare in giro per il mondo intero. Bisogna essere molto determinati ed avere motivazioni sempre nuove e forti: sentivo che se avessi proseguito mi sarebbero mancate queste fondamenta e che non mi sarei divertita più come prima. E poi, anche se fare l´atleta è uno dei ´mestieri´ più gratificanti che si possano fare, tante cose erano diventate troppo routinarie: avevo bisogno di cambiare vita insomma. Raggiunto il mio obiettivo, ne volevo un altro. E così l´ho cambiata davvero, 364 giorni dopo la mia gara a Londra ho iniziato a lavorare alla stazione Carabinieri di Levanto".

Hai partecipato alle ultime Olimpiadi come atleta della Nazionale Italiana. Che esperienza è stata per te?
"Era praticamente da fine estate del 2004 che lavoravo per approdare alle Olimpiadi. Dopo l´occasione sfumata di Pechino 2008 ho messo tutta me stessa per non mancare l´obbiettivo del 2012. Ed ho messo il piede sul tatami di Londra davvero, come si potrebbe dire usando un termine calcistico "in zona Cesarini". Ovviamente per me vestire la maglia della Nazionale è sempre stato un onore ed un vanto, sin dalla prima volta, in un ormai lontano 1997.
Pensa che le tute della Nazionale le ho conservate quasi tutte: sono un caro ingombro nell´armadio! Durante una trasferta in Giappone ho anche comprato calzini ed asciugamanino coi colori della bandiera italiana, una vera fissazione! Forse perchè quando stai tanto all´estero è ancor più bello sapere di far parte di una comunità e di rappresentarla. Mi ero fatta pure il paradenti coi colori della bandiera Italiana, dite che sono troppo fanatica?
Come se questo non bastasse alle Olimpiadi tutto si fa più intenso, più vissuto, più condiviso con un maggior numero di persone. C´è un´attenzione maggiore da parte di tutti, la preparazione è frenetica, l´emozione che sale giorno per giorno, un sacco di cose da fare senza mai perdere di vista la più importante: l´allenamento. E poi amici, conoscenti, o semplicemente persone che sentendosi, almeno per quest´occasione, rappresentati da te ti fanno sentire la loro vicinanza ed il loro sostegno. Mi sono portata dietro la loro gioia a Londra, la forza che avevo era anche la loro, quella della mia famiglia e degli amici soprattutto. La consapevolezza della condivisione della mia gioia con tutte queste persone e dell´orgoglio che, loro come me, provavano a sapermi alle Olimpiadi, è stata una delle cose più belle che potessi scoprire".

Che atmosfera si respira nel villaggio olimpico insieme a tutti gli altri atleti?
"Io mi son sentita, fin da subito come Alice nel paese delle meraviglie. Ero così contenta di essere là che guardavo tutto con curiosità; volevo girare, volevo respirare quell´aria, aria di divertimento, di gioia, competizione, integrazione, allegria, un´aria bellissima.
La cosa che ti salta agli occhi è l´abbondanza di colori: quelli delle bandiere che sventolano alte dappertutto, di quelle attaccate alle palazzine che ne identificano la nazione occupante; quelli delle tute degli atleti che ininterrottamente, durante il giorno, vanno e vengono all´interno del Villaggio Olimpico e lo popolano. Qua e là, capannelli di persone ancora più variopinti; e anche il colore della pelle degli atleti stessi. Gli atleti di nazioni diverse si fermano a parlare fra loro, ridere, scherzare, magari giusto pochi giorni od ore prima di affrontarsi in gara e ti può capitare di andare nella sala ricreativa e ritrovarti a giocare a biliardino con persone mai viste né conosciute, arrivate dall´altra parte del mondo (e che non ci sanno giocare, non esiste dappertutto).
Ti capita di incontrare personaggi famosi dello sport come Bolt o Phelps o qualche chilometrico giocatore di basket dell´NBA. Un´altra cosa curiosa è la mensa, grandissima e che ospita cibi di tutte le varietà. C´è la zona mediterranea, quella asiatica, quella araba e anglosassone. Con tutto questo bendidio da assaggiare, a noi tocca la sorte amara del judoka: la dieta per entrare nella categoria di peso".

Ora che hai preso la decisione di ritirarti come vedi il tuo futuro nello sport? Hai intenzione di iniziare ad allenare giovani atleti?
"Per un certo periodo ho avuto proprio il rifiuto del tatami: il pensiero di dover fare judo mi metteva l´ansia, anche se una volta indossato il judogi mi sono sempre divertita. E´ stato una sorta di anno sabbatico, in cui, comunque ho tenuto diversi stage e lezioni anche a Genova e a Sestri Levante. Diciamo che anch´io sono confusa: da una parte non mi dispiacerebbe insegnare e cercare di trasmettere il mio, seppur poco, sapere e la mia esperienza a qualche giovane judoka. Sarebbe una grande soddisfazione riuscire a far migliorare qualcuno, vedere progredire nel tempo un atleta che perfeziona una tecnica e magari fargli amare ancora di più questo sport. Dall´altra, avendo passato così tanto tempo nelle palestre e nei palazzetti, sacrificando tutto sull´altare del risultato da raggiungere, senza il tempo o talvolta la forza e l´energia, per dedicarsi ad altro, mi dico che anche se non ce ne passo più, del mio tempo, sul tatami non succede nulla e mi potrei dedicare ad altro. Chissà che qualcuno non possa convincermi a dedicare ancora tempo a questo bellissimo sport"

Il judo è, in Italia, considerata una delle discipline minori rispetto a sport come per esempio il calcio. Poi però ci si ricorda di esso e gli si da maggiore visibilità durante competizioni importanti come le Olimpiadi.
"Tutti gli sport sono considerati minori, rispetto al calcio, in Italia! Comunque quando ti alleni, hai i tuoi obiettivi, sei soddisfatta di quello che fai, semplicemente non hai tempo di pensare ai calciatori ed ai loro stipendi. Io non seguo il campionato, ma tanti amici e atleti sì: si gustano la bellezza del gioco, si sfottono fra di loro sui risultati delle partite. Alla fine, magari come qualsiasi altra persona, sappiamo che è così, e ne prendiamo atto... che si può fare?
Noi amiamo il nostro sport, sappiamo che se si conosce è bello come o più del calcio, ma finché tutto ruoterà intorno al pallone, non ci sarà posto per altro. Come persona, quando rifletto su tutto questo mi arrabbio tantissimo, lo trovo un insulto alla povertà, alle persone che fra mille sforzi riescono ad arrivare a fine mese, anche agli atleti di sport minori che si devono pagare le trasferte e le attrezzature e mettono tutto il loro impegno ed il tempo per eccellere nelle proprie discipline, per esempio, ed all´intelligenza stessa delle persone che accettano e non si ribellano a questo sistema.
Io mi sento molto fortunata ad aver avuto la possibilità di entrare a far parte del Centro Sportivo Carabinieri che mi ha consentito di continuare a fare questo sport ai massimi livelli, ed onorata, di conseguenza, di far parte dell´Arma stessa".

A quanti e quali sacrifici bisogna attenersi per eccellere come hai fatto tu in questa disciplina sportiva?
"Si inizia da piccoli, senza quasi rendersene conto a fare delle piccole rinunce, che non ti sembrano nemmeno tali se ti diverti a fare quello che fai. Magari vieni via prima dal mare per andare ad allenarti o non esci il sabato sera perchè la domenica hai la gara. Poi bisogna spostarsi, andare dove sai che potrai migliorare perché ci sono tante persone con cui confrontarsi, molto più brave di te, si fanno le prime esperienze fuori e ti allontani dalla famiglia.
Poi la cosa si fa seria ed allora ti alleni con la stessa gioia di quando eri bambina, ma con maggior consapevolezza, impegno, costanza, determinazione nel voler raggiungere gli obbiettivi. E´ un´attività che ti assorbe completamente, pensi sempre a quello, anche quando non ti alleni. Tante volte devi rinunciare a fare qualcosa per non rischiare di infortunarti: io per esempio non ho messo piede sugli sci per anni per paura di farmi male. Negli sport che prevedono le categorie di peso poi un´altra grossa penalizzazione ce l´abbiamo sul cibo: siamo sempre a dieta, sempre sulla bilancia. Ma sono tutte cose che non percepisci esattamente come sacrifici, piuttosto come un mezzo per arrivare dove vuoi. E c´è sempre il rovescio della medaglia... fai un lavoro fantastico, immerso in un ambiente dinamico, giovane, di sana competizione; conosci un sacco di persone e la tua squadra diventa come una seconda famiglia, si crea un´unione che solo la condivisione di certe emozioni e di tanta la fatica ed il sostenersi a vicenda nei momenti di difficoltà può far nascere.
Sei sempre in movimento: è vero che viaggi tanto e vedi praticamente solo aeroporti, palazzetti ed hotels, ma qualcosa delle altre culture scopri (se non altro il cibo, perché dopo la gara finalmente si mangia) e qualche giro turistico ci scappa".

Come sono gli allenamenti?
"Durante i collegiali con la Nazionale si facevano dieci o undici allenamenti la settimana, fra judo e preparazione fisica modulati nell´intensità e nel volume a seconda della vicinanza o meno al giorno di gara ed a seconda delle esigenze dei singoli atleti, pensa che anche quando si è infortunati si tende a lavorare almeno un po´. Ad esempio se ti fa male una caviglia si fanno lavori specifici per il judo stando seduti, e preparazione fisica che non coinvolga la parte interessata. Dopo l´allenamento solitamente si fa la sauna, che oltre essere rilassante per i muscoli affaticati, aiuta nel controllo del peso. Fra un allenamento e l´altro ci si riposa per poter dare sempre il massimo o si va a trovare i fisioterapisti, sempre oberati di lavoro".

Per motivi sportivi avrai sicuramente girato l´Italia ed il mondo. Qual è il tuo legame con la Spezia?
"Io sono andata a vivere a Roma nel 2000, finita la scuola superiore, per frequentare l´Istituto Universitario di Scienze Motorie, e dopo 13 anni di latitanza e di cittadinanza romana e del mondo sono voluta tornare a casa. Mi mancava la mia terra, le sue coste, i suoi panorami bellissimi, il mare (subito profondo e limpido) e le sue piccole spiagge. La focaccia (mi piace anche la pizza bianca romana, ma non è la stessa cosa!!), la farinata... devo dire che ero stanca di Roma, della sua grandezza e delle sue distanze fatte di traffico e di stress.
La Spezia è più a misura d´uomo, sicuramente offre meno di una grande città, ma c´è da fare anche qua volendo. E poi ci sono sempre posti nuovi da scoprire, o riscoprire, dopo la mia lunga assenza dalla Liguria: a Levanto, per esempio non c´ero praticamente mai stata. Un po´ mi manca la sfacciataggine e il carattere aperto e caciarone dei romani, ma vuoi mettere aver ritrovato il mugugno ligure?!
Il mondo l´ho girato, era tutto un salire e scendere da aerei, ma alla fine non si vede mai nulla: si arriva quasi sempre il giorno prima della gara e, fatta quella, si torna. Tempo per fare i turisti ce n´è poco davvero. Spero di viaggiare un po´ di più ora, come turista visto che ormai il mondo è a portata di mano o di aereo che dir si voglia... ma sarà sempre bello tornare a casa".

Fonte: Guido Lorenzelli www.unvsliguria.it