La Cultura Sportiva Non Si Delega

12-03-2015 13:59 -

Come "genitori" siamo impegnati quotidianamente a ragionare su cosa sia meglio dare ai nostri ragazzi. Lo facciamo a tutti i livelli, la scuola probabilmente è l´ambito in cui riversiamo maggiormente attenzioni e preoccupazioni.
Talvolta ci ricordiamo di farlo anche quando valutiamo la loro attività sportiva.

Emozioni.
Cosa è lo sport per un bambino e per un ragazzo?
Dal punto di vista dell´adulto credo che sia innanzitutto una attività ritenuta utile per combattere gli effetti di malsane abitudini alimentari e la sedentarietà sempre crescente, utile per il benessere fisico in generale. Qualcuno ci mette anche l´ambizione di offrire al bambino delle possibilità per emergere. I meno superficiali pensano che sia uno strumento educativo.
Ma la domanda mira ad avere un´altra risposta. Per i bambini lo sport è essenzialmente una passione. E´ per questo che piace loro e che vi si avvicinano con voglia. La passione vive dove ci sono emozioni. Lo sport ne offre in quantità, anche in intensità. Sono emozioni che non hanno bisogno di alcuna mediazione razionale, quindi molto vicine all´indole infantile: l´emozione della gara, la tensione prima di affrontare una partita, la gioia dell´abbraccio finale, le lacrime per la sconfitta... emozioni!
Credo quindi che fare sport per i bambini e i ragazzi sia innanzitutto una ricerca di emozioni. Sane, pulite. Se nella pratica sportiva, negli allenamenti settimanali come nel torneo in mezzo al fango la domenica, nella sconfitta e nella vittoria, i nostri ragazzi riescono ad emozionarsi, il primo obiettivo è raggiunto.

Educativo ma... anche no.
Il passo successivo è verificare se lo sport ha, così come è effettivamente praticato, una dimensione educativa, se concorre e come alla crescita dei ragazzi.
Lo sport di per sé non è educativo, può esserlo o al contrario essere assolutamente diseducativo: se a vostro figlio insegneranno a doparsi e a truccare i risultati, sono certo che non penserete più che lo sport lo ha aiutato a crescere.

Questa riflessione - apparentemente banale - pone invece una discriminante essenziale: le cose possono essere fatte bene ma anche male; lo sport (salvo che non vogliate crogiolarvi nella sterile retorica) non è sano ed educativo a prescindere, semmai ha, per fattori culturali e sedimentazioni storiche, qualche chances in più di altre.

Ma sostenere che è "di per sé educativo" significa salvare tutto e consentire anche a incapaci e ipocriti di stare con i nostri figli a fare quel poco che sanno fare e male.

Non è così. E farebbe torto a educatori e dirigenti meritevoli, che non vanno fatti accomodare alla stessa mensa di quegli altri.

Riporto una bella considerazione di Julio Velasco in merito:

"... lo sport può fare di tutto, ha fatto di tutto e continuerà a fare di tutto, per cui credo che per dare un valore educativo allo sport occorre fare una lotta ...".

Lotta che definisce "di resistenza": dobbiamo resistere all´idea, ad esempio, che siccome altri non rispettano le regole allora anche noi siamo autorizzati a farlo, che le prestazioni possono essere aiutate con sostanze chimiche, che urlare a bordo campo e inveire fa parte del gioco, che lo sport ormai è inevitabilmente un business ed uno spettacolo e che fama e soldi sono l´obiettivo legittimo da assegnare ai nostri figli.

Non è così, e lo si deve dire prima, con forza. Lo deve dichiarare il club, lo deve dire apertamente l´educatore, lo devono ribadire i genitori. Perché o c´è una opinione diffusa e radicata in tal senso, o lo sport non sarà mai educativo e anche parlarne diventa uno spreco di tempo.

Non si può infatti delegare la cultura sportiva. Se un atleta o un dirigente barano (aprite i giornali sportivi di questi giorni, si sprecano le notizie di doping e partite vendute), il problema non è solo della giustizia sportiva, la condanna deve arrivare anche dalla opinione pubblica altrimenti la cultura sportiva... c´è l´ha solo il giudice sportivo. Questo concetto possiamo tradurlo facilmente anche al campetto da gioco, la domenica, quando un allenatore o un atleta non rispettano le regole: c´è l´arbitro a sanzionare ma anche tutti noi dobbiamo essere pronti ad esecrare i comportamenti antisportivi.

Ripeto: la cultura sportiva non si delega.


Fonte: Giovanni Salbaroli - Delegato UNVS Romagna www.unvsromagna.it