Il Football a.C. e d.C.

29-03-2016 10:16 -


I sognatori fanno la storia, anche se è sempre più difficile una loro collocazione, nel mondo utilitaristico, affaristico, demonizzato di oggi. Perché il sognatore è un fesso, fin da bambino stravede per cose da nulla. Dicevano i vecchi saggi che per il sognatore un fucile rotto vale più di una pistola integra. E’ il buon senso che è deviato. Ciò avviene ed avveniva anche per i sognatori dl calcio, coloro che hanno pensato alle squadre rotte per aggiustarle non per vincere la singola partita. Al sognatore una parola letta in un libro, un’avventura narrata ad arte, può dare alla testa, e fargli credere per se stesso chissà quali storie per il futuro. Il calcio nostro ha avuto due passaggi essenziali; il primo ante Johan Cruijff e l’altro dopo Johan Cruijff senza ombra di dubbio. Se nel primo eccelleva il singolo, la personalizzazione, dopo eccelle il gioco vero, non solo lo spazio. Il calcio dell’Ungheria che perse un mondiale, dell’Italia di Pozzo, del Grande Torino, dell’Uruguay che crea un Maracanazo. Perfino dell’Inghilterra di Ramsey che doveva vincere il suo mondiale , lo vinse e basta. Il calcio è un gioco non effimero nonostante le apparenze, e fino a Cruijff soltanto le vittorie davano vera popolarità al gioco e ne affermavano l’ambiguità esistenziale. Per cui i principi sono sfuggenti, le regole immutabili come le stelle. Consisteva il football nella sfida di due squadre di undici ed il numero uno ci ha messo un secolo per diventare anche lui un calciatore. Ciò che cambia tutto è l’Olanda, al principio degli anni sessanta, grazie a chi come Rinus Michels, ha la vera illuminazione, avendo la lampadina sul comodino, comprata in un negozio di Betondorp, per strada. Michels, quello che apre gli spazi, non concede solo al singolo e viene eletto allenatore dell’Ajax quasi per caso, lui che era stato rude centravanti. Michels chiede autonomie, giocatori che abbiano gamba per correre anche in spazi brevi. Gente sveglia. Batte una sera Bill Shankly ed il Liverpool ad Amsterdam con Cruijff che sembra una lepre ma ha soli 18 anni. Poi disegna ed inventa calcio, ma lo fa perché ha chi glielo permette. Se oggi vedete quelli che erano terzini avanzare come esterni bassi, e scendere per fare un cross, lì vedete Michels; se oggi guardate un uomo davanti alla difesa fare calcio ed orchestrare il gioco, sia Gerrard o de Rossi o Xavi o chi per loro, dal piede buono e geometrico, lì vedete Michels; se oggi vedete linee tenute tra le parti in 15 metri circa, e giocatori che non distano tra loro più di 5-7 metri, lì vedete ancora Michels; se vedete esterni alti una volta ali, che giocano a quattro in avanti e che rinculano rincorrendo palla, un po’ come avete visto Salah fare nella Roma, in quel video riprodotto da Spalletti per spiegare ai giornalisti, ecco lì vedere ancora Michels; se vedete gente giocare nel mezzo e difensori orchestrare palla, gente dai piedi buoni, i peloteros come li chiamavano al Barca, centrali che non sprecano un pallone ed escono dall’area per impostare, lì avete ancora davanti Michels; e se vedete un portiere avanzare con la palla tra i piedi e giocarla ambidestro, per rinviare ai limiti della sua area, ecco quello è ancora Michels. Il processo avvenuto anni prima da Chapman a Garbutt fino a Pozzo in parte e poi a Barbieri ed al Grande Torino, si ripete, ma con altri concetti. Un processo che crea calcio e lo divulga. Michels batte in coppa Campioni con una squadra giovanissima il Liverpool ma capisce presto che non può proseguire e chiede gente più giovane di gamba e di testa veloce, per un progetto. L’Ajax gli riversa all’allenamento la sua Cantera, i Muhren, Suurbier, Kroll, Hann, Rep e soprattutto Johan e lì costruisce gli spazi. L’Ajax che Michels lascia a Kovacs è solo da mettere in campo. Da quel processo nasce il Barca degli anni settanta con lo stesso iter e gli stessi schemi mentali, il grande Barcellona con Johan allenatore. E’ lui ad unire e definire il lavoro della mente Michels. ”Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia. La palla è una sola ed è necessario che tu l’abbia al piede”. E’ lui il consigliere di Laporta che soffia l’idea del nome di Guardiola mister, che sa cosa sia quel calcio e lo rimette in pratica. Ed è allora che il Barca di Messi vale l’Ajax di Cruijff ed Alves vale un Surbieer ed Iniesta un Hann ed il Barcellona di Laudrup e Stoichkov vale ancor prima l’Olanda di Kroll e Rep o il Bayern di Muller e Lahm. Disse Guardiola, spiegando in parole sue quello che noi forse non riusciamo con le nostre: "Il suo merito e´ stato, davanti a un gioco così indecifrabile come il calcio, darci gli strumenti per dominarlo, una cosa impossibile a meno di non chiamarti Messi. Io ero un giocatore di talento, ma non capivo nulla di calcio. Lui ci ha aperto un mondo affascinante, un film che abbiamo interiorizzato. Parlavo coi miei figli, che non hanno conosciuto Cruijff, cercando loro di spiegare chi era e l´ho paragonato al professore di una materia che ti piace, un maestro di cui non vedi l´ora che faccia lezione. Era un tipo che ti diceva tutto il contrario di quello che avevi sentito per tutta la vita: ti dicevano che perdevi perchè non correvi ma un giorno arriva lui e ti spiega che perdi perchè corri troppo". Guardiola ricorda, fra gli aneddoti, quella partita contro il Valencia. Cruijff, allora allenatore del Barcellona, "ci disse che avrebbe giocato con tre difensori, con Eusebio e Witschge esterni. Pensavamo fosse impazzito e invece vincemmo 3-0 facendo un partitone". "E´ stato un privilegio poter approfittare della sua generosità e condividerne le conoscenze, ci ha fornito una grammatica per capire il calcio. Il Barcellona va oltre Johan ma è evidente che è stato lui la rivoluzione che ci ha insegnato a come fare le cose. E´ arrivato e ha detto: faremo così. Una cosa difficilissima perchè bisogna avere una fiducia immensa per convincere gli altri. Non è un caso che abbia allevato tanti allenatori perchè ci ha aiutato a capire questo gioco". Tutto ciò che Cruijff sapeva era che nel calcio l’unico Dio vero è il dominio della palla, l’altro non esiste. Chissà come spiegherà all’Onnipotente quel suo aforisma: “In Spagna prima di una partita, 22 giocatori, tutti, si fanno il segno della Croce. Se la cosa funzionasse ogni incontro dovrebbe finire in parità”. Tra lui e Dio la disputa pare si sia aperta sui conti. Nei 74 anni prima di Cruijff i blaugrana avevano vinto 28 trofei, 10 titoli e neanche una Coppa Campioni. Nei 41 successivi ne hanno conquistati 55 e 5 Champions. E lì Dio pare si sia arreso.

ARMANDO NAPOLETANO



Fonte: UNVS La Spezia www.unvsliguria.it