Sportivi post Covid: psicologia, convalescenza e il progetto Serena
10-03-2021 00:39 - Archivio news dalle Sezioni 2009-2021
Fonte: Treviso today
Il Corona Virus è uno di quegli eventi epocali che restano impressi come cicatrici nella memoria collettiva dell’umanità.
C’è un taglio netto, un mondo prima della pandemia, e uno dopo. La cicatrice è il segno che l’urto è stato assorbito e, in un qualche modo, superato. Sta poi alla comunità e al singolo fare in modo che il periodo di difficoltà coincida con uno di crescita, così che davvero si concretizzi l’auspicio spesso invocato, “ne usciremo migliori”.
È un progetto complessivo che se da un lato guarda ai grandi campioni chiamati a fronteggiare i probanti eventi internazionali, non solo le Olimpiadi ma anche i Mondiali e i trofei continentali delle varie discipline, dall’altro vuole ricavare dati che siano utili per tutti gli sportivi, di tutte le età, dagli agonisti dilettanti ai bambini. Non essendoci letteratura scientifica che possa dare indicazioni su come può reagire alla ripresa dell’attività agonistica un atleta colpito da Covid e tenendo presente che le difese immunitarie si abbassano dopo sforzi o stress intensi e prolungati, i medici sportivi stanno creando una sorta di database e studiano nuovi parametri di valutazione delle condizioni fisiche, soprattutto respiratorie.
Occorre tenere presente che il problema che occorre affrontare, il ritorno all’attività agonistica degli atleti, è un’emergenza nell’emergenza: spiega Attilio Parisi, rettore dell’Università Foro Italico di Roma: «Nessuna Federazione è rimasta immune dal Covid e in media hanno registrato il 50 per cento degli atleti contagiati. La maggior parte, vista anche l’età, sono risultati asintomatici. Il resto ha avuto sintomi lievi, pochi sono stati i ricoveri».
La reazione alla malattia è stata quindi molto varia e non si possono individuare rimedi generici che possano andare bene per ogni evenienza e disciplina. Inevitabilmente c’è differenza tra un ciclista e un nuotatore, e, all’interno del medesimo sport, come ad esempio il calcio, tra un portiere e un centravanti. Se le risposte al morbo sono quindi soggettive, la raccolta in un unico ben organizzato data base di tutte le casistiche aiuta a reperire risposte che possano andare per ogni singolo, comparato con circostanze analoghe.
Il monitoraggio è ancora in fase di studio, ma si dispone già di qualche indicazione. Spiega Parisi: «Anche gli atleti completamente asintomatici presentano qualche problema all’apparato cardiovascolare, su cui dobbiamo porre la massima attenzione. Il fisico di un atleta di alto livello è sottoposto a prestazioni decisamente impegnative che richiedono un’attenzione medica già in condizioni di perfetta salute. Il grado di prestazione cardio-polmonare richiesta è maggiore, perché non si tratta del fisico di uno sportivo che trae solo beneficio dall’attività fisica. Dunque, chi è stato ammalato in forma conclamata è probabile che qualche strascico lo sentirà, come una stanchezza e una maggiore affaticabilità muscolare che può durare qualche settimana oppure mesi».
L’aspetto psicologico e la Sciabola
«Gli atleti d’alto livello non solo sono stati costretti all’inattività per mesi, ma alcuni si sono ammalati o hanno avuto familiari contagiati in modo serio. Per questi atleti di alto livello scendere in campo, significa arrivare alla vittoria con le proprie gambe, i polmoni, il proprio cuore. Non gareggiano da un anno, hanno fatto simulazioni, ma non è la stessa cosa. E poi c’è la paura. Chi è stato positivo, sa di avere contratto il coronavirus, non un raffreddore e chi è rimasto immune ha paura del contagio. Tutto questo influisce sulla loro condizione psicofisica.»
Fonte: Mondoscherma
Sirovich ha potuto verificare queste sgradevoli sensazioni sulla pelle dei suoi ragazzi: nella Nazionale da lui allenata, 64 elementi equamente ripartiti tra maschi e femmine, la metà è stata contagiata, sebbene quasi tutti siano risultati asintomatici. Con i Mondiali di Budapest all’orizzonte, per molti la prima competizione da oltre un anno e l’ultima prima di Tokyo, si pensa di chiudere tutti dentro una sorta di bolla come quella che l’NBA ha deciso di applicare nelle strutture del Disneyland di Orlando, in Florida, per le Finals. Le sue preoccupazioni però si spingono oltre il vertice della piramide del movimento sportivo, e si spostano sino alle fondamenta, i tanti giovanissimi costretti a stare in casa: «Guardo ogni giorno allenarsi gli atleti della mia disciplina e spero che tutti riescano a superare il trauma della pandemia. Non parlo solo degli olimpionici, ma anche delle categorie minori, gli under 20 ad esempio. Adolescenti, ragazzi, che prima del marzo 2020 gareggiano nei campionati minori, si erano impegnati tanto e venivano considerate promesse della scherma. Si sono allenati per un anno, ma senza gare e la competizione è un’altra cosa»
Il Progetto Serena
Rivela Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto dermatologica San Gallicano: «Al momento, la ricerca coinvolge solo gli azzurri della Nazionale di sciabola -i ragazzi di Sirovich- e para-rowing -canottaggio paralimpico- ma l’obiettivo è di estenderla ad altre federazioni. Il progetto è frutto di una sinergia tra l’università statale di Milano, l’università di Trento e l’Ospedale dermatologico San Gallicano di Roma oltre la collaborazione dallo staff medico delle due federazioni coinvolte».
Aggiunge Paola Muti, docente di Scienze Biomediche della Statale di Milano:
«Il gruppo degli atleti di élite è di particolare rilevanza per la protezione da Covid, quei ragazzi sono investimenti importanti per il nostro Paese. Abbiamo implementato un rigido protocollo perché lavorano in situazione di vicinanza e per loro la possibilità di contagio è alta. Non si conoscono gli effetti degli sforzi fisici intensi sia sulla suscettibilità dell’infezione che sulla possibilità di contagio all’interno delle squadre e gruppi di atleti».
fonte: Training Lab Italia
Esercizi per la convalescenza
Ovviamente l’apparato respiratorio è quello più a rischio di disagi, per cui persone asintomatiche per i primi 7 giorni sviluppino complicazioni polmonari nei successivi 14; inoltre Il 20% delle infezioni da Covid nel mondo sono degenerate in insufficienza respiratoria acuta. Per queste ragioni è raccomandato ridurre l’attività per almeno un mese, senza però rinunciarvi del tutto. Per quel che concerne l’apparato cardiocircolatorio, una delle possibili insidie dell’infezione da Covid sono le aritmie e la creazione di tessuto cicatriziale nel miocardio. Sebbene sia raro che coloro che hanno contratto il virus soffrano di complicazioni cardiache vi è sempre la possibilità che sotto sforzo si presentino palpitazioni e aritmie.
Lo studio “Exercise and Athletics in the COVID-19 Pandemic Era” dell’American College of Cardiology sostiene invece che durante il periodo di gestazione della malattia sia importante, se si è positivi ma asintomatici, mantenere comunque una costante attività fisica a una bassa intensità, in modo da stimolare il sistema immunitario; se si è positivi e sintomatici, è invece doveroso sospendere qualunque attività fisica fino a quando non spariscono i sintomi.
Lo Strength and Conditioning Journal ha invece proposto tale programma di ritorno all’attività fisica per tutti coloro che sono stati contagiati:
Per la prima settimana di allenamento dopo l’infezione da Covid, riduzione settimanale del 50% del volume e dell’intensità dell’attività che si seguiva prima della malattia
La seconda settimana una riduzione del 30%
La terza del 20%
La quarta del 10%
Dalla quinta settimana, quindi alla fine del primo mese, si può tornare ai volumi e intensità consueti, e si può riprendere come se nulla fosse successo; o magari rafforzati da quanto superato.
Federico Burlando
LIGURIASPORT.COM
Fonte: UNVS Genova - Genova www.unvsliguria.it